Testi francescani | Custodia Terrae Sanctae

Testi francescani

 

In questa sezione sono raccolti alcuni testi significativi che possono aiutarti a conoscere meglio la vita di San Francesco e del suo Ordine e anche a respirare un po' della particolare spiritualità che i Frati Minori vivono quotidianamente in Terra Santa.

Fonti Francescane

La vita di S.Francesco di Assisi la conosciamo attraverso una serie di testi, spesso di carattere letterario scritti da biografi a lui contemporanei e vicini. 

Più che semplici fonti storiche si può parlare di pietre vive, angolari, che strutturano gli spazi entro i quali un grande movimento religioso prosegue, da sempre, gli insegnamenti e gli esempi del suo Maestro.

Ecco a tua disposizione alcuni di questi testi!

Dalla Regola Bollata dei frati Minori (Rb 2,1-3.5-6)

"Se alcuni vorranno intraprendere questa vita e verranno dai nostri frati, questi li mandino dai loro ministri provinciali, ai quali soltanto e non ad altri sia concesso di ammettere i frati. 
I ministri, poi, diligentemente li esaminino intorno alla fede cattolica e ai sacramenti della Chiesa. 
E se credono tutte queste cose e le vogliono fedelmente professare e osservare fedelmente fino alla fine [...] dicano ad essi la parola del santo Vangelo, che vadano e vendano tutto quello che posseggono e procurino di darlo ai poveri.
Se non potranno farlo, basta ad essi la buona volontà."

Dal Testamento di San Francesco (Test 14-23)

Dopo che il Signore mi dette dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. 
Ed io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor Papa me la confermò.
E quelli che venivano per abbracciare questa vita, distribuivano ai poveri tutto quello che potevano avere, ed erano contenti di una sola tonaca, rappezzata dentro e fuori, del cingolo e delle brache. E non volevamo avere di più.
Noi chierici dicevamo l’ufficio, conforme agli altri chierici; i laici dicevano i Pater noster; e assai volentieri ci fermavamo nelle chiese. Ed eravamo illetterati e sottomessi a tutti.
Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all’onestà. Coloro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l’esempio e tener lontano l’ozio.
Quando poi non ci fosse data la ricompensa del lavoro, ricorriamo alla mensa del Signore, chiedendo l’elemosina di porta in porta.
Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto: “Il Signore ti dia la pace!”

Dalla Vita Prima di San Francesco di fra Tommaso da Celano (1C 6-7: FF 329-330)

"Vi era ad Assisi un giovane, che Francesco amava più degli altri. Poiché era suo coetaneo e l’amicizia pienamente condivisa lo invitava a confidargli i suoi segreti, Francesco lo portava con sé in posto adatti al raccoglimento dello spirito, rivelandogli di aver scoperto un tesoro grande e prezioso. L’amico, esultante e incuriosito, accettava sempre volentieri l’invito di accompagnarlo.
Alla periferia della città c’era una grotta, in cui essi andavano sovente, parlando del “tesoro”. L’uomo di Dio, già santo per desiderio di esserlo, vi entrava, lasciando fuori il compagno ad attendere, e, pieno di nuovo insolito fervore, pregava il Padre suo in segreto. Desiderava che nessuno sapesse quanto accadeva in lui là dentro; e, celando saggiamente a fin di bene in meglio, solo a Dio affidava i suoi santi propositi. Supplicava devotamente Dio eterno e vero di manifestargli la sua vita e di insegnargli a realizzare il suo volere. Si svolgeva in lui una lotta personale, né poteva darsi pace, finché non avesse compiuto ciò che aveva deliberato. Mille pensieri l’assalivano senza tregua e la loro insistenza lo gettava nel turbamento e nella sofferenza.
Bruciava interiormente di fuoco divino, e non riusciva a dissimulare il fervore della sua anima. Deplorava i suoi gravi peccati, le offese fatte agli occhi della maestà divina. Le vanità del passato o del presente non avevano per lui più nessuna attrattiva, ma non si sentiva ancora completamente sicuro di saper resistere a quelle future. Si comprende perciò come, facendo ritorno al suo compagno, fosse tanto spossato da apparire irriconoscibile.
Un giorno finalmente, dopo aver implorato con tutto il cuore la misericordia divina, gli fu rivelato dal Signore come doveva comportarsi. E da allora fu ripieno di tanto gaudio che, non riuscendo a contentarsi per la gioia, lasciava, pur non volendo, trasparire qualcosa agli uomini."

Dalla Vita Seconda di San Francesco di fra Tommaso da Celano (2C 6: FF 586-587)

"Subito dopo gli appare in visione uno splendido palazzo, in cui scorge armi di ogni specie e una bellissima sposa. Nel sonno Francesco si sente chiamare per nome e lusingare con la promessa di tutti quei beni. 
Allora, tenta di arruolarsi per la Puglia e fa ricchi preparativi nella speranza di essere presto insignito del grado di cavaliere. Il suo spirito mondano gli suggeriva una interpretazione mondana della visione, mentre ben più nobile era quella nascosta nei tesori della sapienza di Dio.
E infatti un’altra notte, mentre dorme, sente di nuovo una voce, che gli chiede premurosa dove intenda recarsi. Francesco espone il suo proposito, e dice di volersi recare in Puglia per combattere. Ma la voce insiste e gli domanda chi ritiene possa essergli più utile, il servo o il padrone.
“Il padrone”, risponde Francesco.
“E allora – riprende la voce – perché cerchi il servo in luogo del padrone?”
E Francesco: “Cosa vuoi che io faccia, o Signore?”
“Ritorna – gli risponde il Signore – alla tua terra natale, perché per opera mia si adempirà spiritualmente la tua visione”. Ritornò senza indugio, fatto ormai modello di obbedienza e trasformato col rinnegamento della sua volontà."

Dalla Leggenda dei Tre Compagni (3Comp 7: FF 1402)

"Tornato che fu dunque ad Assisi, dopo alcuni giorni, i suoi amici lo elessero una sera loro signore, perché organizzasse il trattenimento a suoi piacere. Egli fece allestire, come tante altre volte, una cena sontuosa.
Terminato il banchetto, uscirono da casa. Gli amici gli camminavano innanzi; lui, tenendo in mano una specie di scettro, veniva per ultimo, ma invece di cantare, era assorto nelle sue riflessioni.
D’improvviso, il Signore lo visitò, e n’ebbe il cuore riboccante di tanta dolcezza, che non poteva muoversi né parlare, non percependo se non quella soavità, che lo estraniava da ogni sensazione, così che (come poi ebbe a confidare lui stesso) non avrebbe potuto muoversi da quel posto, anche se lo avessero fatto a pezzi.
Gli amici, voltandosi e scorgendolo rimasto così lontano, lo raggiunsero e restarono trasecolati nel vederlo mutato in un altro uomo. Lo interrogarono: “A cosa stavi pensando, che non ci hai seguiti? Almanaccavi forse di prender moglie?” Rispose con slancio: “È vero. Stavo sognando di prendermi in sposa la ragazza più nobile, ricca e bella che mai abbiate visto”. I compagni si misero a ridere. Francesco disse questo non di sua iniziativa, ma ispirato da Dio. 
E in verità la sua sposa fu la vita religiosa, resa più nobile e ricca e bella dalla povertà."

Dalla Leggenda dei Tre Compagni (3Comp 11: FF 1407-1408)

"Un giorno che stava pregando fervidamente il Signore, sentì dirsi: “Francesco, se vuoi conoscere la mia volontà, devi disprezzare e odiare tutto quello che mondanamente amavi e bramavi possedere. Quando avrai cominciato a fare così, ti parrà insopportabile e amaro quanto per l’innanzi ti era attraente e dolce; e dalle cose che una volta aborrivi, attingerai dolcezza grande e immensa soavità”.
Felice di questa rivelazione e divenuto forte nel Signore, Francesco, mentre un giorno calcava nei paraggi di Assisi, incontrò sulla strada un lebbroso. Di questi infelici egli provava un invincibile ribrezzo; ma stavolta, facendo violenza al proprio istinto, smontò da cavallo e offrì al lebbroso un denaro, baciandogli la mano. E ricevendone un bacio di pace, risalì a cavallo e seguitò il suo cammino. Da quel giorno cominciò a svincolarsi dal proprio egoismo, fino al punto di sapersi vincere perfettamente, con l’aiuto di Dio.
Trascorsi pochi giorni, prese con sé molto denaro e si recò all’ospizio dei lebbrosi; li riunì e distribuì a ciascuno l’elemosina, baciandogli la mano. Nel ritorno, il contatto che dianzi gli riusciva repellente, quel vedere cioè e toccare dei lebbrosi, gli si trasformò veramente in dolcezza. Confidava lui stesso che guardare i lebbrosi gli era talmente increscioso, che non solo si rifiutava di vederli, ma nemmeno sopportava di avvicinarsi alle loro abitazioni. Capitandogli di transitare presso le loro dimore o di vederne qualcuno, sebbene la compassione lo stimolasse a fare l’elemosina per mezzo di qualche altra persona, lui voltava però sempre la faccia all’altra parte e si turava le narici. Ma per grazia di Dio diventò compagno e amico dei lebbrosi così che, come afferma nel suo Testamento, stava in mezzo a loro e li serviva umilmente."

Dalla Vita Seconda di San Francesco di fra Tommaso da Celano (2C 10: FF 593-594)

"Era già del tutto mutato nel cuore e prossimo a divenirlo anche nel corpo, quando, un giorno, passò accanto alla chiesa di San Damiano, quasi in rovina e abbandonata da tutti. 
Condotto dallo Spirito, entra a pregare, si prostra supplice e devoto davanti al Crocifisso e, toccato in modo straordinario dalla grazia divina, si ritrova totalmente cambiato. Mentre egli è così profondamente commosso, all’improvviso – cosa da sempre inaudita – l’immagine di Cristo crocifisso, dal dipinto gli parla, movendo le labbra.
“Francesco, - gli dice chiamandolo per nome – va’, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina”. 
Francesco è tremante e pieno di stupore, e quasi perde i sensi a queste parole. Ma subito si dispone ad obbedire e si concentra tutto su questo invito. Ma, a dir vero, poiché neppure lui riuscì mai ad esprimere l’ineffabile trasformazione che percepì in se stesso, conviene anche a noi coprirla con un velo di silenzio.
Da quel momento si fissò nella sua anima santa la compassione del Crocifisso e, come si può piamente ritenere, le venerande stimmate della Passione, quantunque non ancora nella carne, gli si impressero profondamente nel cuore."

Dalla Leggenda dei Tre Compagni (3Comp 19-20: FF 1419)

"Constatando che il suo ricorso ai consoli si concludeva in un nulla, Pietro di Bernardone andò a sporgere querela davanti al vescovo della città. Questi, da persona discreta e saggia, chiamò Francesco con i modi dovuti, affinché venisse a rispondere alla querela del genitore. 
Il giovane rispose al messaggero: “Da messer vescovo ci vengo, poiché egli è padre e signore delle anime”.
Venne dunque all’episcopio, e fu ricevuto dal pastore con grande gioia. Il vescovo gli disse: “Tuo padre è arrabbiato con te e molto alterato per causa tua. Se vuoi essere servo di Dio, restituiscigli i soldi che hai; oltretutto è ricchezza forse di mal acquisto, e Dio non vuole che tu spenda a beneficio della Chiesa i guadagni del padre tuo. La sua collera sbollirà, se recupera il denaro. Abbi fiducia nel Signore, figlio mio, e agisci con coraggio. Non temere, poiché l’Altissimo sarà tuo soccorritore, e ti largirà in abbondanza quanto sarà necessario per la sua Chiesa”.
L’uomo di Dio si alzò, lieto e confortato dalle parole del vescovo, e traendo fuori i soldi, disse: “Messere, non soltanto il denaro ricavato vendendo la sua roba, ma gli restituirò di tutto cuore anche i vestiti”. Entrò in una camera, si spogliò completamente, depose sui vestiti il gruzzolo, e uscendo nudo alla presenza del vescovo, del padre e degli astanti, disse: “Ascoltate tutti e cercate di capirmi. Finora ho chiamato Pietro di Bernardone padre mio. Ma dal momento che ho deciso di servire Dio, gli rendo il denaro che tanto lo tormenta e tutti gli indumenti avuti da lui. D’ora in poi voglio dire: “Padre nostro, che sei nei cieli”, non più “padre mio Pietro di Bernardone”. I presenti videro che l’uomo di Dio portava sulla carne, sotto begli abiti colorati, un cilicio.
Addolorato e infuriato, Pietro si alzò, prese denari e vestiti, e se li portò a casa. Quelli che assistevano alla scena, rimasero indignati contro di lui, che non lasciava al figlio nemmeno di che vestirsi. E presi da compassione, piangevano su Francesco.
Il vescovo, considerando attentamente l’uomo santo e ammirando tanto slancio e intrepidezza, aprì le braccia e lo coprì con il suo mantello. Aveva capito chiaramente ch’egli agiva per ispirazione divina e che l’accaduto conteneva un presagio misterioso. Da quel giorno diventò suo protettore. Lo esortava e incitava, lo dirigeva e amava con affetto grande."

Dalla Vita Seconda di San Francesco di fra Tommaso da Celano (2C 15: FF 601)

"Bernardo, un cittadino di Assisi, che poi divenne figlio di perfezione, volendo seguire il servo di Dio nel disprezzo totale del mondo, lo scongiurò umilmente di dargli il suo consiglio. 
Gli espose dunque il suo caso: “Padre, se uno dopo avere a lungo goduto dei beni di qualche signore, non li volesse più tenere, cosa dovrebbe farne per agire nel modo più perfetto?” Rispose l’uomo di Dio: “Deve restituirli tutti al padrone, da cui li ha ricevuti”. 
E Bernardo: “So che quanto possiedo mi è stato dato da Dio e, se tu me lo consigli, sono pronto a restituirgli tutto”. Replicò il Santo: “Se vuoi comprovare coi fatti quanto dici, appena sarà giorno, entriamo in chiesa, prendiamo il libro del Vangelo e chiediamo consiglio a Cristo”.
Venuto il mattino, entrano in una chiesa e, dopo aver pregato devotamente, aprono il libro del Vangelo, disposti ad attuare il primo consiglio che si offra loro. Aprono il libro, e il suo consiglio Cristo lo manifesta con queste parole: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quanto possiedi e dallo ai poveri” (Mt 19,21). Ripetono il gesto, e si presenta il passo: “Non prendete nulla per il viaggio” (Lc 9,3). Ancora una terza volta, e leggono: “Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso” (Lc 9,23). 
Senza indugio Bernardo eseguì tutto e non tralasciò neppure un iota. Molti altri, in breve tempo, si liberarono dalle mordacissime cure del mondo e, sotto la guida di Francesco, ritornarono all’infinito bene nella patria vera."

Dalla Leggenda dei Tre Compagni (3Comp 30-31: FF 1433-1434)

"Il giorno che messer Bernardo stava distribuendo i suoi beni ai poveri, Francesco era presente e mirava quell’opera stupenda del Signore, glorificandolo e lodandolo in cuor suo. 
Capitò colà un sacerdote, di nome Silvestro, da cui Francesco aveva comprato pietre per il restauro di San Damiano. Vedendo distribuire tutto quel denaro per consiglio dell’uomo di Dio, Silvestro fu preso da morbosa cupidigia e gli disse: “Francesco, non mi hai pagato come dovevi le pietre acquistate da me”. 
Udendo la recriminazione ingiusta, il Santo, che abominava l’avarizia, si accostò a messer Bernardo, affondò la mano nel suo mantello gremito di monete, e la tirò fuori piena di soldi, che versò al prete borbottone. Ne agguantò poi un’altra manciata, dicendo: “Sei pagato a dovere, adesso, messer sacerdote?” Rispose Silvestro: “Oh, sì, fratello”. E tutto gongolante tornò a casa col denaro.
Ma pochi giorni dopo, il prete Silvestro, ispirato dal Signore, si mise a riflettere sul gesto di Francesco. E diceva fra sé: “Sono proprio un miserabile! Eccomi vecchio, e ancora a concupire e cercare insaziabilmente le cose di questo mondo: mentre questo giovane le disprezza e calpesta per amore di Dio” [...]
Cominciò a temere Dio e a fare penitenza a casa sua. E poco tempo dipoi entrò nel nuovo Ordine, vi condusse una vita santa e finì con una morte gloriosa."

Dalla Leggenda di Santa Chiara Vergine (LegsC 7-8: FF 3168-3171)

"Era prossima la solennità delle Palme, quando la fanciulla (Chiara) con cuore ardente si reca dall’uomo di Dio (Francesco), per chiedergli che cosa debba fare e come, ora che intende cambiare vita.
Il padre Francesco le ordina che il giorno della festa, adorna ed elegante, vada a prendere la palma in mezzo alla folla, e la notte seguente, uscendo dall’accampamento, converta la gioia mondana nel pianto della passione del Signore.
Venuta dunque la domenica, la fanciulla entra in chiesa con le altre, radiosa di splendore festivo tra il gruppo delle nobildonne. 
E lì avvenne – come per un significativo segno premonitore – che, affrettandosi tutte le altre a prendere la palma, Chiara quasi per un senso di riserbo, rimane ferma al suo posto: ed ecco che il vescovo discende i gradini, va fino a lei e le pone la palma tra le mani.
La notte seguente, pronta ormai ad obbedire al comando del Santo, attua la desiderata fuga, in degna compagnia. E poiché non ritenne opportuno uscira dalla porta consueta, riuscì a schiudere da sola, con le sue proprie mani, con una forza che a lei stessa parve prodigiosa, una porta secondaria ostruita da mucchi di travi e di pesanti pietre.
Abbandonati, dunque, casa, città e parenti, si affrettò verso Santa Maria della Porziuncola, dove i frati, che vegliavano in preghiera presso il piccolo altare di Dio, accolsero la vergine Chiara con torce accese.
Lì subito, rinnegate le sozzure di Babilonia, consegnò al mondo il libello del ripudio; lì, lasciando cadere i suoi capelli per mani dei frati, depose per sempre i variegati ornamenti.
Ne sarebbe stato giusto che, alla sera dei tempi, germogliasse altrove l’Ordine della fiorente verginità, se non lì, nel tempio di colei che, prima tra tutte e di tutte la più degna, unica fu madre e vergine.
Questo è quel famoso luogo nel quale ebbe inizio la nuova schiera dei poveri, guidata da Francesco: così che appare chiaramente che fu la Madre della misericordia a partorire nella sua dimora l’uno e l’altro Ordine."

Preghiere francescane

Questa sezione ti accompagna alla scoperta di alcune delle più belle preghiere francescane.

Per te, così come per molti prima di te, queste preghiere aprono il cuore e la mente alla semplicità e profondità di Francesco e dei suoi compagni...

Francesco recitava questa preghiera già nel 1205-1206, durante il periodo del suo discernimento vocazionale, quando frequentava la piccola chiesa di San Damiano, dove si trovava il Crocifisso bizantino ancora visibile oggi nella Basilica di Santa Chia



Altissimo, glorioso Dio,
illumina le tenebre de lo core mio.
E damme fede dritta,
speranza certa e caritade perfetta,
senno e cognoscemento, Signore,
che faccia lo tuo santo e verace comandamento. Amen.

Francesco compose questa preghiera di lode sul Monte della Verna, nel settembre 1224, quando ricevette le stimmate. La preghiera fu scritta su una pergamena che contiene anche la benedizione di Francesco a frate Leone. La pergamena con l’autografo di Francesco è conservata come reliquia nella Basilica di San Francesco in Assisi.

Tu sei santo, Signore solo Dio, che compi meraviglie.
Tu sei forte, Tu sei grande, Tu sei altissimo,
Tu sei onnipotente, Tu, Padre santo, re del cielo e della terra.
Tu sei uno e trino, Signore Dio degli dèi,
Tu sei il bene, ogni bene, il sommo bene, Signore Dio vivo e vero.
Tu sei amore e carità, Tu sei sapienza,
Tu sei umiltà, Tu sei pazienza,
Tu sei bellezza, Tu sei sicurezza, Tu sei quiete.
Tu sei gaudio e letizia, Tu sei la nostra speranza,
Tu sei giustizia e temperanza,
Tu sei tutto, ricchezza nostra a sufficienza.
Tu sei bellezza, Tu sei mansuetudine.
Tu sei protettore, Tu sei custode e difensore,
Tu sei fortezza, Tu sei rifugio.
Tu sei la nostra speranza, Tu sei la nostra fede,
Tu sei la nostra carità, Tu sei tutta la nostra dolcezza,
Tu sei la nostra vita eterna, grande e ammirabile Signore,
Dio onnipotente, misericordioso Salvatore.

Francesco compose il Cantico di frate Sole, conosciuto anche come Cantico delle creature, nella primavera del 1225, quando soggiornava malato a San Damiano, curato da Chiara e le Sorelle Povere. Il Cantico fu composto nel dialetto umbro e contiene tre sezioni: una lode a Dio per le creature (sole, luna, stelle, vento, acqua, fuoco, terra), una lode per coloro che perdonano per amore di Dio, e una lode per sorella morte corporale. Solo la prima parte fu composta a San Damiano, mentre la strofa del perdono fu composta nel palazzo vescovile di Assisi, dove Francesco malato risiedeva per un tempo, e la strofa su sorella morte fu composta alla Porziuncola, poco tempo prima della morte del Santo il 3 ottobre 1226.

 

Altissimu, onnipotente, bon Signore,
Tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedizione.
Ad Te solo, Altissimo, se konfane
E nullu homo ène dignu Te mentovare.

Laudato sie, mi’ Signore, cum tutte le Tue creature,
spezialmente messor lo frate Sole,
lo qual è iorno et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significazione.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora Luna e le stelle:
in celu l’ài formate clarite e preziose e belle.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate Vento
e per aere e nubilo e sereno et onne tempo,
per lo quale a le Tue creature dài sustentamento.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini la notte:
et ello è bello e iocundo e robustoso e forte.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta e governa,
e produce diversi frutti con coloriti flori et herba.

Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo Tuo amore
e sostengo infirmitate e tribulazione.
Beati quelli ke ’l sosterrano in pace,
ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si’, mi’ Signore,
per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po’ skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue santissime voluntati,
ka la morte secunda no ’l farrà male.

Laudate e benedicete mi’ Signore e rengraziate
e serviateli cum grande humilitate.

Francesco “circondava di un amore indicibile la Madre di Gesù, perché aveva reso nostro fratello il Signore della maestà. A suo onore cantava laudi particolari, innalzava preghiere, offriva affetti tanti e tali che lingua umana non potrebbe esprimere” (2C 198). Questa lauda in onore della Vergine è testimone del grande affetto che Francesco nutriva per la Madre di Dio.



Ave Signore, santa regina,
santa genitrice di Dio, Maria,
che sei vergine fatta Chiesa
ed eletta dal santissimo Padre celeste,
che ti ha consacrata
insieme con il santissimo suo Figlio diletto
e con lo Spirito Santo Paraclito;
tu in cui fu ed è ogni pienezza di grazia e ogni bene.
Ave, suo palazzo,
ave, suo tabernacolo,
ave, sua casa.
Ave, suo vestimento,
ave, sua ancella,
ave, sua Madre.
E saluto voi tutte, sante virtù,
che per grazia e illuminazione dello Spirito Santo
venite infuse nei cuori dei fedeli,
perché da infedeli
fedeli a Dio li rendiate.